ANNULLATO
(DPCM 26 aprile 2020)
Giacomo Puccini
Direttore d’Orchestra, Dorian Wilson
Regia, Giuliano Montaldo
Scene, Luciano Ricceri
Costumi, Elisabetta Montaldo Bocciardo
Luci, Luciano Novelli
Allestimento Teatro Carlo Felice
Personaggi e interpreti principali
Turandot , Anna Pirozzi /Maida Hundeling
Calaf , Gregory Kunde /Francesco Pio Galasso
Liù, Desirée Rancatore /Angela Nisi
Timur, Roberto Scandiuzzi/ Mariano Buccino
Ping, Fabio Previati
Pong, Didier Pieri
Pang, Manuel Pierattelli
Anche nell’ultima opera di Giacomo Puccini, tutto ruota intorno a una donna. Anzi, due: Turandot, l’inarrivabile principessa di ghiaccio, e Liù, la schiava buona, giusta e amorevole. Anche se forse si tratta di un’unica donna incarnata in due personaggi diversi: Liù, nel momento del sacrificio per salvare il principe Calaf, si mostra non meno determinata di Turandot, mentre questa, alla fine, “si scioglie”, abbandonandosi a quel sentimento amoroso che Liù conosce da sempre. Sovrapposte, le due ultime donne messe in musica da Puccini danno un’immagine misteriosa della femminilità: un quarto enigma, molto più universale dei tre che Calaf deve risolvere per abbattere il muro dietro cui si è trincerata Turandot. E viene da chiedersi se l’inafferrabilità dei sentimenti femminili, l’incapacità di comprenderli fino in fondo, almeno dal punto di vista maschile, non sia il tema segreto che percorre sottotraccia tutta l’opera pucciniana. Anche la musica di Turandot è la più difficile da classificare tra quelle composte da Puccini: Turandot è l’opera delle melodie estroverse come “Nessun dorma” o della vocalità spigolosa di Turandot e di un’orchestra aggiornata sulle nuove frontiere dissonanti? Il mancato completamento per la morte del compositore aggiunge al testamento musicale di Puccini un rebus in più. Sta di fatto che fin dalla prima del 25 aprile 1926 alla Scala, diretta da Toscanini, Turandot esercita su tutti, amanti e non di Puccini, un fascino quasi stregonesco, incrementato, nel classico allestimento del Teatro Carlo Felice curato da Giuliano Montando, regista del Marco Polo televisivo, dalla rievocazione di una Cina imperiale suntuosa, sfarzosa e coreografica.