Falstaff
Commedia lirica in tre atti
Libretto di Arrigo Boito
Musica di Giuseppe Verdi
Direttore d’Orchestra, Andrea Battistoni
Allestimento, Fondazione Teatro di San Carlo, Fondazione Teatro Petruzzelli Bari, Fondazione Teatro del Maggio Musicale Fiorentino
Regia, Luca Ronconi
ripresa da, Marina Bianchi
Scene, Tiziano Santi
Assistente alle scene, Alessia Colosso
Costumi, Tiziano Musetti
Luci, A. J. Weissbard
Assistente alle luci, Pamela Cantatore
Orchestra e Coro del Teatro Carlo Felice
Maestro del Coro, Franco Sebastiani
Mimi DEOS: Luca Alberti, Filippo Bandiera, Andrea Dionisi, Maria Francesca Guerra, Nicola Marrapodi, Andrea Repetto Miradello, Roberto Orlacchio, Marco Pericoli, Davide Riminucci, Luca Vacchetta.
Figurante, Vanessa Locandro
Personaggi e interpreti indicati in ogni data
Durata dell’opera:
-Primo atto 40 min.
-Intervallo 20 min.
-Secondo atto 55 min.
-Intervallo 20 min.
-Terzo atto 45 min.
I tempi sono indicativi
Alle soglie degli ottant’anni, dopo una vita dedicata al tragico musicale, Verdi riscopre l’opera comica, sorprendendo tutti. E compone il suo ultimo, eccezionale capolavoro teatrale. Eccezionale non solo per la qualità della musica in sé, ma anche per la modernità della partitura e della drammaturgia musicale. Falstaff non è l’opera di un anziano compositore ottocentesco che, giunto al limite del nuovo secolo, si bea con nostalgia del proprio glorioso passato: è un’opera che guarda al futuro, un testamento lasciato ai compositori che verranno, un estremo sforzo creativo. Gli strumenti nella buca dell’orchestra sono protagonisti quanto le voci sul palcoscenico, le seguono tratteggiando per ogni personaggio e situazione dei bozzetti psicologico-musicali perfetti. La melodia e il declamato si alternano senza soluzione di continuità dando origine a un’azione che scorre fluida secondo i tempi, trattenuti o accelerati, dell’intreccio teatrale (come in Wagner, ma all’italiana e con una leggerezza ignota al grande operista tedesco). È già teatro musicale novecentesco, prefigurato in forma di commedia. Molto merito va anche ad Arrigo Boito, autore di una gemma librettistica – sia per i versi colti e raffinati che per la “sceneggiatura” innovativa – tratta da due testi di Shakespeare, Enrico IV (prima e seconda parte) e Le allegre comari di Windsor. E shakespeariana rimane, anche nell’adattamento, la morale: gli uomini non sono tutti dei santi, c’è chi vive per ingannare l’altro, ma attenzione che costui può ritrovarsi ingannato a sua volta. E non si perda la speranza: in mezzo a tante miserie umane, piccole e grandi, si possono ancora incontrare sentimenti disinteressati, come l’amore tra Fenton e Nannetta.
Il Falstaff presentato dal Carlo Felice in questa stagione è l’ultimo messo in scena da Luca Ronconi, uno dei più grandi registi italiani di prosa e lirica del secondo dopoguerra, scomparso nel 2015. Una coproduzione del 2013 tra Fondazione Teatro di San Carlo, Fondazione Teatro Petruzzelli Bari, Fondazione Teatro del Maggio Musicale Fiorentino, ripresa da Marina Bianchi. Un Falstaff ambientato in un vago passato, con dei semplici teloni come quinte e lo spazio scenico disegnato dagli oggetti stessi distribuiti a gruppi, che Ronconi presentò così nei giorni del debutto: «Falstaff è un personaggio astorico. È vero che appare burlone, ma è anche burlato; vive di espedienti, ma è anarchico, è squattrinato e vuole fare soldi. È vecchio, ma si sente giovane, e quindi risulta un po’ mitomane. Insomma, è tantissime cose: a me non dispiace vedergli dentro anche una sorta di infantilismo, come quelli che passano da collere furibonde a folgorazioni immediate. Quindi un carattere non estremamente coerente.»